Sull’uso geopolitico delle reliquie

L’aspetto che forse più avvicina il Buddhismo a quest’uso cristiano delle reliquie, è certamente il loro utilizzo in chiave politica.

Secondo la tradizione, le ceneri del Buddha divennero assai presto l’oggetto di una disputa fra i diversi sovrani dell’India Settentrionale. Secondo il Mahâparinibbâna Sutta, questa controversia fu risolta da un brahmano di nome Drona, che suddivise le reliquie in otto parti uguali, distribuendole quindi ad otto re, ed istruendoli affinché costruissero uno stûpa al di sopra di ognuna di esse. Il destino di questi otto Drona stûpa è ignoto. Secondo una leggenda, che comunque racchiude un nucleo di verità, sarebbe stato l’imperatore maurya Ashoka nel III sec. a.C., quando si convertì al Buddhismo, a raccogliere tutte queste reliquie, e a ridistribuirle in tutto l’Impero, dividendole in ottantaquattromila parti, e facendo costruire uno stûpa per ciascuna di esse. Fra questi, ricorderemo il Grande Stûpa di Sanchi. Si trattò di una vera e propria riconsacrazione del territorio indiano, che rinviava simbolicamente al mito vedico dello smembramento cosmico del corpo divino del Mahâpurusha.

Un altro esempio è quello del dente del Buddha, ancor oggi custodito nel cosiddetto “Tempio del dente” di Kandy nello Shri Lanka, il cui possesso era considerato dai sovrani singhalesi un attributo indispensabile della loro regalità, ammesso e non concesso che davvero si trattasse del dente originario. Anche il culto reso a questa reliquia era privilegio e dovere del sovrano. Si credeva inoltre che essa assicurasse il buon governo, l’armonia sociale, piogge regolari e raccolti abbondanti. A tutto questo pose fine nel 1815 la conquista inglese dell’isola. Ma ancor oggi una volta all’anno, nel mese estivo di Asala, il dente viene portato in processione lungo le strade della città. La reliquia è affidata alla cura di una complessa gerarchia di sacerdoti, che ogni giorno la lavano, la vestono e la nutrono secondo riti del tutto simili a quelli indù che sono previsti per il culto reso alle immagini divine. Questi riti di vestizione e nutrizione del dente, dimostrano fra l’altro quanto dicevamo pocanzi riguardo alla presenza reale del Buddha sulla terra sotto forma di reliquia, come conferma anche la seguente leggenda, contenuta nel Mahâvamsha, la Grande Cronaca dello Shri Lanka: quando il re Dutthagâmani, regnante nel I sec. a.C., stava per racchiudere alcune reliquie del Buddha nel grande stûpa che egli aveva fatto appositamente costruire, l’urna nella quale esse erano custodite si sollevò in aria, si aprì e le reliquie scesero a terra prendendo la forma e l’aspetto fisico del Buddha, e ripetendo tutti i miracoli di cui egli era stato protagonista in vita. Ovviamente, si sottintende che anche i pii sovrani buddhisti siano una manifestazione della presenza terrena del Buddha per estensione e quasi per contatto delle sacre reliquie ch’essi direttamente custodiscono.

Interno del tempio del sacro dente del Buddha a Kandy, Shri Lanka

Così in Cina a Ch’ang-an, oggi Xian nello Shanxi, l’antica capitale della dinastia Thang, nel IX secolo gli imperatori accoglievano periodicamente la reliquia di un osso del dito del Buddha, normalmente custodito in un monastero al di fuori della città. In questa occasione di esposizione al pubblico, i fedeli manifestavano la loro devozione in forme estreme, gettandosi a terra, tagliandosi e bruciando i propri capelli, offrendo al Buddha le proprie dita tagliate ed arrivando a rinunciare a tutti i loro averi.

Neppure con gli Imperatori mongoli si interruppe la ricerca di reliquie buddiste al fine di ricavarne politicamente consacrazione, prestigio e popolarità. Alla corte di Qubilai Khan, l’italiano Marco Polo ebbe l’occasione di assistere nel 1288 ad un vero e proprio evento, l’arrivo nella capitale, provenienti dal famoso tempio di Kandy nello Shri Lanka, di presunte importanti reliquie del Buddha, pagate a quanto sembra a carissimo prezzo. Ovvero due denti molari, una ciocca di capelli e la scodella per le elemosine, in porfido verde. È interessante ricordare che queste stesse reliquie venivano invece attribuite ad Adamo sia dai cristiani che dai musulmani abitanti nell’Impero mongolo. A riprova che le reliquie spesso uniscono diverse fedi religiose, per un’obiettiva convergenza di fatto della venerazione, e talvolta anche del culto e del pellegrinaggio.

Ed è infine davvero molto interessante osservare, come anche la Cina comunista, che pure ha distrutto la maggior parte delle sue reliquie buddhiste nel corso del decennio della Rivoluzione Culturale iniziato nel 1966, ha comunque continuato a fare un uso politico assai disinvolto, ma comunque sempre lucido ed efficace di talune di esse. Fra queste, forse la più importante è un altro dente del Buddha portato a Nanchino nel V secolo, e quindi depositato anch’esso a Ch’ang-an, oggi Xian. Scomparso per oltre ottocento anni, fu riscoperto nel 1900, ed è ancora custodito in una pagoda nei pressi di Pechino. Alla fine degli anni ’50 il governo comunista cinese permise che questa reliquia compisse un lungo viaggio, prima in Birmania e quindi nello Shri Lanka, dove fu venerata da oltre centomila fedeli. Un’operazione che potremmo definire di vera e propria geopolitica delle reliquie, la quale prova come, ben prima della svolta confuciana successiva al 1989, i governanti cinesi abbiano sempre considerato come imprescindibili alcuni elementi fondamentali delle proprie tradizioni religiose, reliquie comprese.

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